Tradire l’antico per custodirlo e consegnarlo al domani
Archiobjects • Architecture
Uno tra i più complessi e discussi dibattiti in architettura è sicuramente il rapporto tra antico e contemporaneo, una poliedrica relazione che rende ancora più interessante approfondirne le diverse posizioni per capire fin dove si possa operare nel rispetto di entrambe le parti.
La storia del restauro insegna che il falso storico, la finzione o qualsiasi altra forma di insalubre copia non è altro che un gesto che annulla, o peggio avvelena, le tracce storiche della propria epoca, una vera e propria alterazione di un processo storico che merita la propria riconoscibilità.
“Un salto all’interno di un processo positivo”
Così lo definisce Vincenzo Latina che con il suo operare palesa un’importante riflessione attraverso un modus operandi capace di comprendere e calibrare questo rapporto biunivoco.
Base della riflessione dell’architetto siciliano sono i centri storici, eredità di un antico qualificato come somma di diverse contemporaneità riuscite a fondersi in un’armonica e coordinata serie di fratture.
L’impossibilità dell’essere fedeli ad un’epoca precedente deve quindi portarci ad una presa di coscienza che inevitabilmente ci proietta all’interno del dibattito sulla ri-costruzione. Un’impossibilità per Vincenzo Latina analoga nel carattere alla storia letteraria, un bacino dal quale comprende il significato del verbo latino tradere: il traduttore, infatti, ha da sempre avuto la mansione di interpretare il testo originale al fine di tradurlo e consegnarlo.
Ri-costruire i centri storici significa dunque tradirli con il linguaggio della propria epoca, un repertorio contemporaneo che attualizza e consegna al ciò che viene.
Una riflessione particolare che attraverso il progetto di tesi di un giovane Vincenzo Latina ha preso corpo 26 anni dopo a Siracusa, capitale dell’antichità, in un’area delicata caratterizzata da uno squarcio del fronte urbano.
Un prospetto autorevole poiché opposto ad una delle immagini più suggestive dell’isola antica di Ortigia: la colonna d’angolo del peristilio del tempio dorico di Atena, inglobato nel sistema murario della basilica cristiana. Un’operazione che sottolinea quanto la trasformazione sia strumento della conservazione, l’atto mancato al tempio ionico antistante.
Un iceberg sommerso, riaffiorato però negli anni ’60 durante la demolizione degli edifici esistenti sulla via, tra cui una chiesetta catalana, perduta per fare spazio agli uffici comunali progettati da Marcello Piacentini. Un vuoto urbano che nella sua impotente stasi diventa anello di congiunzione tra il perduto, il demolito e una torre dell’orologio che non verrà mai costruita, perché la scoperta delle tracce ioniche provoca la doverosa rilettura di un territorio creduto da secoli esclusivamente dorico.
Vincenzo Latina si batte quindi per risolvere la complessità di un contesto che si interfaccia con il peso dell’antico, ma soprattutto con gli ostacolanti vincoli del sito archeologico che fino a quel momento non avevano innescato nulla se non l’abbandono dell’area.
Il padiglione viene dunque concepito come una latomia, elemento autoctono adottato come copertura degli scavi e come intervallo urbano che si interfacci con il contesto ricucendone la maglia. Un volume minerale, solido, che recupera il sistema murario catalano della chiesetta attraverso lo studio dei 1360 blocchi rinvenuti. Citazioni di un precedente che innerva persino il sodalizio fisico del progetto con il sito stesso che, per mezzo di isolatori sismici, menziona poeticamente la testimonianza di Plinio il Vecchio riguardo il tempio di Diana, a Efeso:
“Quando arrivavano le scosse, l’edificio sacro non ondeggiava paurosamente: scivolava dolcemente sul terreno, e rimaneva indenne…”
L’esterno severo e silente si accorda come intervento corale che con umiltà si presta ad ascoltare il protagonismo della cattedrale antistante. Una durezza che all’interno si ammorbidisce attraverso l’uso di materiali lignei, più accoglienti, espressione di una risposta sensibile alla dissomiglianza delle situazioni.
Infine, un asimmetrico taglio inquadra la colonna d’angolo del tempio sopravvissuto. Una lacerazione che si fa carico di un ricongiungimento oltre i limiti spaziali e temporali, segno di una mano calcante che con delicatezza e sensibilità ha tradito fedelmente dialoghi perduti.
Foto Copyright: Vincenzo Latina