Aldo Rossi e la sua architettura teorica oltre la Scuola di Milano
Archiobjects • Architecture
Le origini dell’architettura di Aldo Rossi sono da ricercare nelle lezioni che Ernesto Nathan Rogers intratteneva al Politecnico di Milano alla fine degli anni ’50. Per tale circostanza è possibile inquadrare, seppur inizialmente, Aldo Rossi all’interno di quella che viene definita la “Scuola di Milano“.
Gli insegnamenti di Rogers, la presa di distanza dalla rigidita’ del movimento moderno, la proposizione di una architettura maggiormente aperta alle complessita’ del reale e l’individuazione dei principi da cui essa parte non in un ritorno al passato, ma piuttosto all’assunzione come linea guida di un’idea di ragione che pero’ e’ ben lontana da essere interpretata come mera razionalizzazione e funzione, sono i punti che contraddistinguono e identificano tale Scuola.
Queste sono le basi dalle quali partì Aldo Rossi, ma riuscirà a spingersi ben oltre, fino ad arrivare a perdere contatto, in senso positivo, con quella ragione tanto ricercata da cui era partito.
Non invento, ricordo.
Aldo Rossi
Per capire la sua architettura occorre prima di tutto capire la sua teoria, e forse proprio per questo risulta impossibile scindere la sua produzione letteraria da quella architettonica.
Partendo da un’intepretazione personale dell’architettura di Boullè, nel quale egli individua il precursore di cio’ che Rossi chiama “razionalismo esaltato”, e adoperando il concetto di architettura autonoma formulato da Kaufmann riguardo alla purificazione delle forme, l’architetto milanese elabora un suo concetto fondamentale che tornera’ nelle sue opere: Autonomia dell’architettura.
Autonomia concepita a partire dalla considerazione che compie sulla città, vista come una struttura spaziale regolata da leggi ed elementi forniti dall’architettura stessa. Ma è con “La teoria dei fatti urbani” che il discorso di Rossiano incomincia a prendere forma, almeno a livello mentale. Nel testo “Architettura della citta‘” egli identifica il fatto urbano in quell’artificio con il quale la citta’ si struttura, “il punto d’incontro tra vita individuale e collettiva” (Storia dell’architettura contemporanea II, Marco Biraghi).
Un grande pensatore, un critico che ha saputo intrattenere dibattiti sull’architettura anche oltre i confini nazionali, un punto di riferimento al quale ogni altro critico o altro progettista ha dovuto confrontarsi in un modo o nell’altro. Questo è Aldo Rossi, o meglio, questo è il critico Aldo Rossi.
Per quanto riguarda l’aspetto costruttivo egli non è forse mai riuscito a spiccare definitivamente il volo da quella carta dove erano scritte o disegnate le riflessioni che ne animavano le idee – non ha mai saputo tradurre alla perfezione tali pensieri in architetture.
La sua Architettura risulta teorica appunto. È tanto densa di significati e di quella memoria del passato, quanto e’ lontana dalle persone intese come collettivita’ sociale. Difficile è immedesimarsi e condividere tali architetture a prescindere da un attento studio dell’architetto che le ha partorite, proprio perchè nel passaggio all’atto progettuale egli rivela un’assoluta soggettività derivata dall’attingere a quelle forme primarie contenute nella stratigrafia della memoria che aveva saputo ben rappresentare nel collage “La citta analoga” della Biennale di Venezia del 1976.
Pier Paolo Tamburelli in un intervento in occasione di un convegno su Rossi nel 2011 sintetizza cosi’ il passaggio dall’apparato teorico a quello pratico dell’architetto:
Aldo Rossi si accontenta di estrarre dal cilindro figure del tutto private e garantite da una poetica autoreferenziale, che sfugge ad ogni possibile confronto pubblico
Pier Paolo Tamburelli
Foto copyright: Wikimedia Commons, Aldo Rossi