Scendendo i gradini nelle viscere dell’introspezione
Archiobjects • Architecture
Preparati ad entrare nell’oscurità estrema.
Dai tempo ai tuoi occhi di abituarsi all’ambiente.
Questo l’avviso all’ingresso di the Water, l’ultimo progetto di Hiroshi Sambuichi a Copenaghen.
Architetto, sperimentatore, artista. Difficile costringerlo in una precisa determinazione per un approccio progettuale che non trova eguali, in grado di dare corpo a straordinarie visioni che dissestano il preconcetto.
È in una delle storiche riserve d’acqua della capitale danese che Sambuichi riesce ad esprimere questa sua grande dote: la capacità di cogliere l’anima celata di un luogo.
“Ciò che più mi interessa è far emergere la bellezza del posto.”
Un luogo sommerso, affogato nella terra e nascosto dal sole a seguito di un’epidemia, che nel 1853, infettò l’acqua che provocò la morte di quasi 5000 persone. Un luogo dell’uomo, nato per raccogliere un bene prezioso, vitale, rivelatosi per non curanza omicida del suo creatore.
Sambuichi decide però di rompere un’assenza durata 150 anni addomesticando l’incontrollabilità del sole. Calibrati solchi di luce naturale permettono così la fruizione di uno spazio in stretta e imprescindibile relazione con la ciclicità del cielo.
Un primitivo, riscoperto rapporto che ti disarma dei tuoi rifugi.
Due scalinate permettono l’accesso alla riserva.
L’umido freddo bagna le superfici.
È troppo buio per fare foto, scendendo quei gradini la tua tasca si è svuotata del mondo che hai sempre a portata di mano, un mondo di cui hai perso le distanze.
Ti ritrovi solo, in una realtà capovolta da fermi riflessi, mossa solo dal rumore dei passi di compagni senza volto.
L’oscurità ti sta già svestendo impedendoti di vedere dove poggiano i tuoi piedi, schiacciato da un buio sconfinato.
Un’accecante luce cattura il tuo sguardo attraverso un corridoio lungo 100 metri.
Percepisci la profondità dello spazio, il suo ritmo strutturale, sebbene quella luce bruci ciò che ti circonda servendosi di una rete bianca che sporca prossime spazialità, costringendoti a proseguire innanzi.
Scopri così che quella luce non era altro che un riflesso del sole che penetra l’unico accesso a lui riservatogli.
Qui, incontra ed illumina una polvere d’acqua più leggera dell’aria, ma tanto potente che nel suo stesso ricongiungimento vince sul rumore dei tuoi passi.
Ti fermi.
Il sole alle tue spalle ti scalda da un’oscurità che ti stava soffocando, e osservi l’immateriale cascata che dipinge colori nell’aria.
Non pensi più al freddo buio, i tuoi sensi trovano nuovamente il loro ruolo.
Prosegui percorrendo una via che scompare in voragini murarie: un pianoforte di tegole che, spinte dalla luce che ti lasci alle spalle, ricominciano a suonare attraverso le anime che le calpestano.
Inaspettatamente ti ritrovi in quelle precedenti spazialità, al di là di quella rete che ora ti offusca negli occhi di altri.
Lì, assapori il verde di una montagna di muschio. Il primo, vero colore di un mondo lasciato all’esterno che ti prova il suo straordinario invisibile potere, quello della vita, capace di nascere e sopravvivere in uno luogo tanto ostativo.
Procedi nell’oscurità dove si fa breccia la calda luce di sei lampade che disegnano l’arco di un ponte.
Sali, il legno sotto la tua mano si è addolcito e per la prima volta sei in grado di percepire la statura dello spazio.
Lo sconfinato buio qui si rivela, piegandosi al tatto, concedendosi e per un istante ingannandoti di esserne padrone.
Scendi con la sensazione di aver fatto un salto nello spazio e nel tempo.
Hai oltrepassato un limite, il limite tra il guardare fuori e il guardarti dentro.
Ma ancora non lo sai.
Ritorni nell’oscurità, cercando invano la luce di un sole nascosto.
Intravedi una porta, ti avvicini, ma non trovi altro che il tuo riflesso in uno specchio.
Tutto svanisce.
Cosa stavi cercando, il freddo, l’umidità, il rumore dei passi degli sconosciuti che hai attorno.
È la porta che apre il dialogo con la tua intima oscurità, mettendoti di fronte a ciò che finora non avevi cercato.
Le viscere della terra si fanno così cassa di risonanza di una voce sommersa, ti ritrovi nella stanza di un’importuna introspezione che ti investe e colpisce vigliaccamente portando a galla le tue debolezze, i tuoi rimpianti, le tue paure, le tue ferite.
Senti il bisogno di scappare, di respirare.
Ti precipiti verso la luce, sali le scale, esci.
Inspiri aria fresca e realizzi di aver trovato un aspro inatteso scendendo quei gradini: sottili corde che il genio di un uomo ha raggiunto e toccato senza averti mai incontrato.
Preparati ad entrare nell’oscurità estrema.
Preparati a ritrovarti solo, nelle tue viscere.
Foto Copyright: Cisternerne, Davide Maria Zema