Performance Art ed estetica relazionale. “Awkward Moments Series II” di Marta Armengol
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L’importante ruolo dello spettatore è quello di determinare il peso dell’opera sulla bilancia estetica. In fin dei conti, l’artista non è da solo quando porta a compimento l’atto creativo; c’è anche lo spettatore che stabilisce il contatto fra l’opera e il mondo esterno, decifrando e interpretando le sue qualità profonde, e che, così facendo, aggiunge il proprio contributo al processo creativo.
Marcel Duchamp
Con queste parole, nel 1954, Marcel Duchamp pone le basi per una nuova e diversa concezione dell’opera d’arte, andando al di là della sua oggettività materiale, e della sua fruizione passiva da parte dell’osservatore, e apre le porte a un vasto campo di sperimentazione che porterà, nel corso dei decenni successivi, alla nascita della performance art e delle sue molteplici manifestazioni.
Molto in voga negli anni Sessanta e Settanta, portata alla ribalta dal lavoro di artisti come Allan Kaprow, Carolee Schneemann, Yōko Ono, Yayoi Kusama, Vito Acconci, Joseph Beuys, Nam June Paik e Marina Abramovic, ancora oggi, la “live art” consta di esperienze interessanti e significative, come quella dell’artista multidisciplinare, di origine barcellonese, Marta Armengol che, con la collaborazione della regista e fotografa Carlota Guererro, della compositrice Mimi Xu, e con la produzione creativa di Anna Senno, è l’autrice di “Awkward Moments Series II”, una “Collaborative Life Tutorial Performance”, che combina generi artistici eterogenei – installazione, video, danza – con l’obiettivo di instaurare un’interazione fisica ed emotiva con il pubblico.
Nell’arco di questa esperienza effimera e autentica, esempio compiuto di arte relazionale, l’astante diventa egli stesso performer, abbandona la sua funzione di mero consumatore estetico, di statico vouyeur dell’opera, per prendere parte attivamente alla pièce artistica, e rapportarsi con l’altro in un coinvolgimento intenso e profondo, nei limiti di un tempo definito ed entro un determinato spazio: una pratica creativa, aperta e compartecipata, che si svolge come un flusso di azioni non pianificate e forzate, ma libere, aleatorie, estemporanee.
Il corpo, attraverso la presenza materiale, l’eloquenza dei gesti e il movimento, è il mezzo espressivo per esplicitare questo dialogo sensibile, questa relazione dinamica che il performer riesce a stabilire con l’osservatore – attore, “l’essere l’uno con l’altro, un fluire dell’Io al Tu”, per dirla alla Turner.
L’atto performativo, strutturato in sei capitoli, Nascita, Esperienza, Amore, Decadimento, Morte e Rinascita, è un incontro intimo tra arte e vita, un intervallo olistico nel quale lo spettatore e il performer, il sentire e l’agire, la comunicazione e la condivisione, si fondono in un unicum indivisibile e irripetibile.
Foto Copyright: Marta Armengol – martarmengol.com – awkwardmoments.space