Perfezioni provvisorie: A Londra, molto tempo fa, di Mirtha
Lifeobjects • Culture

Dalston Junction, devo scendere.
Sei la persona a cui – per assurdo e facendo una media – ho pensato più spesso negli ultimi novecento giorni.
La vera sberla in faccia è arrivata quando sono salito su uno dei vostri assurdi bus rossi a due piani che sfrecciano noncuranti a tutte le ore.
Te lo ricordi?
Che assurdità, ovvio che te lo ricordi.
Io pensa che invece mi sono pure scordato l’adattatore.
Invece mi ricordo tutto il resto come fosse ieri.
La spirale di schifo in cui annaspavo.
I tuoi passi avanti.
Le mie corse indietro.
Vieni qua
No
Vengo li
Vengo io
No
No
Ho detto no.
Non ho il coraggio, invece, di recuperare tutte le parole non dette.
Sono stato un’ora a fissare il cielo senza sole con le nuvole grigie di quel grigio che ben conosci, che ti appartiene, che hai reso casa tua.
In testa mi ronza solo una stupida e inutile insensata e insensibile domanda.
Come staremmo festeggiando il tuo trentesimo compleanno se avessi abbattuto la barricata e fossi venuto a dividere con te un monolocale in una traversa di Portobello?
Mi baceresti tutte le mattine come mi baciavi tu?
Avremmo una televisione e sei figli?
Avremmo un cane?
Avremmo un gatto?
(No io odio i gatti)
In questa città distrutta dalla guerra e ricostruita dall’umanità, in questa città che accoglie tutti, avremmo trovato il posto per noi?
Mi giro, mi passa davanti un tizio che canta.
Non credo abbia senso farsi tutte queste domande ora che ho un lavoro un mutuo e una vita che non ha nulla a che fare con quello che sfreccia ora davanti ai miei occhi aldilà dei finestrini della overground.
Non voglio che ce l’abbia.
Dalston Junction, devo scendere.