Neuroarchitettura, il valore delle neuroscienze applicate all’Architettura

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Sempre più spesso si sente parlare di Neuroarchitettura, ma cos’è, come funziona e perché dovrebbe essere tenuta in considerazione? A queste e ad altre domandi sulla Neuroarchitettura risponderemo nel corso di questo breve ma esaustivo post!

Per prima cosa è bene precisare che il termine Neuroarchitettura è una normale semplificazione – il termine deriva dall’accostamento delle Neuroscienze all’architettura.

 

Cosa sono le Neuroscienze?

Si tratta delle scienze cognitive, ovvero la Neuropsicologia e la Neurofisiologia, quelle scienze, in particolare la Neuropsicologia è “la disciplina che studia i processi cognitivi e comportamentali relazionandoli ai meccanismi anatomo-fisiologici a livello di sistema nervoso che ne sottendono il funzionamento” la Neurofisiologia è “…una branca della biologia e della fisiologia che studia il funzionamento delle reti neurali e dei neuroni”

Cos’è l’Architettura dovremo saperlo… Ma comunque ognuno ha la sua idea, e qui abbiamo raccolte alcune celebri citazioni di altrettanto celebri architetti e progettisti.

Un’altra cosa da precisare è il fatto che la Neuroarchitettura è una disciplina ancora agli albori – si è incominciato a parlarne da poco più di 10 anni – e sta ancora “aspettando” in gran parte i progressi scientifici delle appena menzionate neuro scienze. Anch’esse relativamente recenti.

Terza e ultima cosa da precisare è che la Neuroscienza, e così la Neuroarchitettura, va a braccetto con la Biofilia – ovvero “l’idea scientifica di Edward O. Wilson che nel 1984 constatò empiricamente nell’essere umano la “tendenza innata a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali”. L’uomo è in armonia con la natura e sta bene quando ha un rapporto diretto con essa.

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Porre il benessere al centro della progettazione

Il protagonista e soggetto di questo campo di studi è quindi il cervello. E come funziona il cervello negli spazi?

Quando camminiamo o ci spostiamo in uno spazio, Il cervello non si limita semplicemente a raccogliere le informazioni che l’occhio e gli altri sensi gli passano, ma agisce come “un anticipatore”, ovvero basandosi sull’ambiente circorstante, il nostro cervello è in grado di trasmetterci non solo dati visibili, ma anche sensazioni, sia positive che negative e molti altri tipi di percezioni. Pensiamo ad una sensazione di disagio negli ambienti con soffitti troppo bassi o scarsamente illuminati, oppure alla piacevole sensazione di entrare in un ambiente con ampie finestrate e con al centro della stanza un giardino interno…

Da questa considerazione ne deriva una seguente per la quale si pensa che si possono anche “pianificare”, tramite la progettazione, queste emozioni che il cervello ci passa vivendo uno spazio. Non solo le norme edilizie quindi, ma anche le influenze mentali. Si tratta di capire come si interagisce con un certo tipo di spazio, a seconda di quale sia la sua destinazione d’uso, e di cercare di provocare situazioni di benessere.

Come fare a innescare queste situazioni? Esistono sicuramente alcuni accorgimenti dati per accertati e testati, ma visto che si tratta di una scienza che è ancora agli inizi, si tratta principalmente di testare e sperimentare per il momento.

Non esiste quindi un manuale d’uso della Neuroarchitettura. Così come non esiste un livello di benessere assoluto che va bene per tutti. Non vi sono certezze e vi è molta relatività.

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Il benessere è un equilibrio, perlopiù intimo, che viene raggiunto a seconda di molteplici fattori
– afferma l’esperta Giusi Ascione durante una conferenza sul tema

Non esistono guide. Eppure gli spazi in cui ogni giorno e in ogni fase della nostra vita trascorriamo la maggior parte del tempo hanno una responsabilità molto rilevante nel forgiare la nostra persona. Sia a breve termine (nell’arco della giornata), sia a lungo termine (per esempio una scuola).

Oggigiorno i progettisti dovrebbero forse porre una maggiore sensibilità a questi temi, e ritornare a pensare al comfort spirituale, sociale ed emozionale degli individui che andranno a vivere le architetture e gli elementi da loro progettati. Forse ancora prima di ricercare “la novità” a tutti i costi, “l’effetto wow” a tutti i costi – si potrebbe investire più risorse ed energie per andare ad eliminare le possibili sensazioni di disagio e per andare ad incrementare quelle di piacere.

Dopotutto è proprio quello che si faceva nella storia antica, quando gli architetti ponevano al centro gli stati mentali dell’uomo. Pensiamo alle visioni prospettiche, alla modularità, alle piante circolari, all’altezza delle chiese gotiche e all’ordine nelle facciate così come negli spazi interni. Una volta si era molto più attenti a come il corpo reagiva alla geometria delle cose. Poi questa sensibilità si un po’ persa, forse perché si è incominciato a paragonare le abitazioni a “macchine da abitare”?Foto Copyright: Jason Leung, Efe Kurnaz, Earson Arias, Simon Hattinga Verschure

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Articolo di Luca Onniboni

Luca Onniboni

Autore e fondatore di Objects., Archiobjects e Marketing For Architects. Esperto in comunicazione e appassionato di Architettura, Design e Marketing. E' anche un consulente, un nuotatore, un motociclista e un instancabile ricercatore

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