Impermanenza e conflitto interiore, le sculture di Park Ki Pyung
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Giovane artista originario di Seoul, Park Ki Pyung è l’autore di singolari sculture a grandezza naturale, volutamente incomplete, cave o rotte, di struggente potenza emotiva.
Delicate, stranianti, plasmate con un preciso linguaggio corporeo – quasi sempre a capo chino – che rimanda a sentimenti di tristezza e rassegnazione (la serie Empty Room), le opere dell’artista coreano incarnano una profonda meditazione sull’esistenza, e offrono spunti di pensiero su alcune tematiche in particolare, il passato e il futuro, la vita e la morte, la transitorietà della condizione terrena, la questione identitaria e il dilagare del conformismo nella società contemporanea.
I focused on my feeling, my behavior, and my way of viewing the world, and tried to find the universality of the human being inside me. Also, I observed other people and substituted myself for them. The top priority of my work is to gain universality. For this moment and for the moment after death, my work has to form something that can be understood in any era.
Park Ki Pyung


Nelle mani di Park materiali grezzi quali l’acciaio, il cemento e la resina, vengono modellati con tale maestria e raffinatezza, da apparire leggeri, pieni di grazia, perfino eterei, ma pungenti e insinuanti come le emozioni e i turbamenti che agitano l’animo umano, e che pare trapassino il corpo per liberarlo del proprio peso, trovando una via d’uscita da quelle crepe e da quei tagli sulla “pelle”, per lasciare spazio solo al vuoto.
Tra i lavori di Park, di grande pathos è il gruppo intitolato Amphitheater, una scena di battaglia tra personaggi dal volto trasfigurato, metafora immaginifica della inevitabile e perenne lotta con sé stessi.
Nato nel 1991, Park Ki Pyung è attualmente studente alla Hongik University.
Foto Copyright: Park Ki Pyung – @park_ki_pyung