L’Architettura sociale di Alejandro Aravena
Archiobjects • Architecture

Per anni l’architettura è stata considerata come l’arte di pochi, una tecnica che in pochi sapevano maneggiare. Per anni la firma del progetto è stata anche il biglietto da visita dell’edificio e, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, i grandi nomi del panorama architettonico internazionale si sono confrontati in innovazione tecnica e in speculazioni teoriche per imporre il proprio stile e la propria visione.
Da qualche anno, però, si sta diffondendo quella che è stata chiamata dall’architetto e scrittore Giancarlo de Carlo come architettura della partecipazione e che rientra nel più ampio ambito della progettazione partecipativa. Questo approccio pone l’accento sulla necessaria cooperazione di tutti gli interessati al progetto per una sua migliore realizzazione.

L’architetto Cileno e la sua Architettura sociale
Della stessa idea, l’architetto cileno Alejandro Aravena, nominato lo scorso luglio 2015 curatore della Biennale di Venezia di Novembre 2016, membro del Programma Cities della London School of Economics. Durante il discorso per il riconoscimento del premio Pritzker 2016 Alle Nazioni Unite, Aravena ha parlato proprio di “architettura sociale”, una nuova visione espressa del suo studio Elemental che, in nome proprio dei nuovi fondamenti di una “architettura per tutti” ha deciso di mettere liberamente in rete una parte dei suoi progetti.
Si tratta di una svolta importante per il dominio della cosiddetta “architettura d’autore”. Aravena la considera una tappa indispensabile per un’evoluzione che possa portare ad una nuova concezione e una nuova missione per l’architettura, che deve sempre più puntare innanzitutto a risolvere i problemi concreti, a farsi carico delle sfide del pianeta, da quelle della povertà a quelle ambientali.
“D’ora in poi l’architettura sarà davvero di tutti e per tutti. Così, oltre che ridurre i costi, le comunità potranno vedere i risultati ottenuti e i miglioramenti che queste architetture hanno già prodotto in altre situazioni”. Così l’architetto commenta la sua scelta, che è frutto di anni di esperienze simili in Cile e Messico.
L’architetto e il suo studio, infatti, non sono nuovi a questo tipo di approccio, dal momento che negli ultimi anni sono stati impegnati in numerosi progetti di forte impatto sociale e nello studio di materiali e progettazioni “povere”, di facile fruizione e adattabili alle più svariate condizioni.

“E’ il momento di lasciare da parte l’ego dell’artista”
È dunque ora, secondo Aravena ma non solo, dal momento che questa scuola di pensiero è ormai sostenuta da architetti, urbanisti e teorici di tutto il mondo, che l’architettura faccia un ulteriore passo in avanti e gli architetti uno indietro. È il momento di lasciare da parte l’ego d’artista per abbracciare la consapevolezza che le realtà più delicate e più in difficoltà non hanno bisogno di costruzioni preziose e altisonanti, bensì di avere accesso alle tecniche e ai mezzi per migliorare la loro condizione.
Compito degli architetti è allora quello di mettersi al servizio delle città, delle comunità, dell’ambiente per progettare soluzioni che rispondano davvero alle esigenze delle persone e che sappiano interfacciarsi con loro in modo elastico e flessibile.

Foto copyright: elementalchile, immagine in copertina Giorgio Zucchiatti su Archdaily