Città fantasma cinesi, genesi e stato attuale
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È il 2006 quando, nel suo vagabondare per il vasto continente asiatico, il reporter Wade Shepard incappa in una città cinese quasi completamente disabitata. Una città fantasma. Lo stupore nasce dal fatto che non si tratta di un insediamento antico, né abbandonato, al contrario, il nucleo urbano è di recentissima costruzione e pare stia ancora attendendo i suoi futuri abitanti. Di fatto, è proprio così.
In Cina, secondo le stime di Baidu, il Google nazionale, sono ad oggi più di 50 queste città fantasma, disperse nelle zone del Paese in via di sviluppo.
Grandi mall commerciali, hotels e appartamenti di lusso, aree pubbliche ed ampie vie di comunicazione caratterizzano dunque queste metropoli all’avanguardia, cui manca una cosa sola: gli abitanti. Secondo lo studio di Baidu, infatti, sono numerosi i complessi urbani occupati per meno del 5% della loro capacità, per la maggior parte di questi, servono fino a 10 anni prima di raggiungere una popolazione tale da garantire un equilibrio funzionale.
Shepard, che ha pubblicato nel 2015 il volume “Ghost cities of China”, si è interrogato a lungo sulla ragione di questi particolari fenomeni urbanistici e antropologici.

Il perchè della genesi delle città fantasma in Cina
La spiegazione va ricercata innanzitutto nelle scelte politiche del governo cinese, che lascia alle municipalità locali il compito di gestire fino all’80% delle sue spese. La risposta dei neonati Distretti è stata quella di acquistare, negli ultimi decenni, terra a bassissimo costo dai contadini che stavano trasferendosi in massa verso le città e di rivendere questi lotti come edificabili a prezzi ben più alti. Il contratto di vendita prevedeva però una clausola importante: era richiesto a chi acquistava i terreni di costruirvi sopra qualcosa.
È così che comincia, all’inizio degli anni 2000, un processo di investimento massiccio in zone fino ad allora non urbanizzate. Effetto positivo collaterale, in ottica pubblica, ma anche privata, è quello di creare nuovi posti di lavoro nell’area in questione, con una strategia che riprende in parte il modello keynesiano di investimento pubblico.
La tattica politica non riesce però a rilanciare del tutto ed immediatamente i complessi urbani di nuova costruzione: nelle aree edificate, infatti, non esistono interessi produttivi o economici, se non quelli creati ex-novo dalla città stessa. Le zone non attirano ancora i ricchi che potrebbero permettersi l’accesso agli edifici, mentre gli abitanti della regione non hanno potenzialità economiche sufficienti. È così che, per diverso tempo, questi agglomerati urbani altro non sono che ghost cities perse nella promessa di una futura prosperità.
Foto copyright: Tim Franco