Henri Cartier-Bresson e la straordinarietà del quotidiano in mostra alla Villa Reale di Monza
Artobjects • Photography
Oltre 140 immagini si snodano lungo i suggestivi ambienti del secondo piano nobile della Villa Reale di Monza ed il loro susseguirsi ci racconta l’opera e l’approccio ai soggetti fotografici che hanno fatto del fotografo francese Henri Cartier-Bresson un pioniere del foto-giornalismo.La rassegna monografica curata da Denis Curti, evidenzia l’importanza dell’attimo, di quel momento che è punto di partenza di tutta l’attività fotografica di Cartier-Bresson: il valore attribuito a questo elemento così sfuggente permette al fotografo di cogliere la contemporaneità delle cose e della vita, e di presentarle al pubblico in qualità di testimonianza umana.
L’immagine migliore è quella in cui si coglie l’attimo decisivo, il momento irripetibile in cui la mente il cuore e l’occhio sono sulla stessa linea.
-Cartier Bresson
La fotografia è quindi un impulso, qualcosa di spontaneo colto da un occhio sempre attento e in costante ricerca che cattura momenti conferendovi eternità.Mentre studia, maneggia e reinterpreta la sua Leica appena comprata, il cui modo di fotografare è congeniale alla sua ricerca, Cartier-Bresson si imbatte in un fotografia di Martin Munkacsi che ritrae quattro ragazzi in controluce mentre giocano sulla riva del lago Tanganika (1930): in questo momento, con questa fotografia realizza che per riuscire nel suo intento di cogliere appieno quel che viene offerto dalle cose esistenti, e dall’umanità che permea ogni aspetto di quanto lo circonda, deve affidarsi alla fotografia, unica capace di restituire tali emozioni e vitalità.
Se l’attimo è il segno di riconoscimento di Cartier-Bresson, non stupisce che egli veda la macchina fotografica quale semplice mezzo per immortalarlo:
La macchina fotografica è un block notes, funge da supporto ad intuito e spontaneità. Solo attraverso un uso minimale dei mezzi si può arrivare alla semplicità di espressione.
La Leica non delude affatto le sue aspettative. Gli permette infatti di scattare quella che è forse la sua fotografia più famosa e sicuramente quella che ha in sé racchiuse tutte le ragioni che lo hanno fatto propendere per la fotografia come forma di espressione artistica: Gare Saint-Lazare (1932).
Mentre gira per le strade di Parigi scattando foto per scoprire le possibilità che gli offre la sua nuova macchina fotografica, Cartier-Bresson capita nei pressi della stazione di Saint-Lazare e vede un uomo che, per evitare di sporcarsi, è in procinto di attraversare una pozzanghera con un salto: ancora una volta vede, trattiene il respiro e scatta. La Leica gli permette di fermare l’uomo in aria con le gambe divaricate, fermo per sempre in quell’istante, e suscitando in noi una curiosità inevitabile per l’attimo successivo, per quello che accade subito dopo: il signore è riuscito a saltare la pozzanghera o si è bagnato tutto? Era abbastanza lungo il salto?Dopo la stampa Cartier-Bresson valuta il risultato: la fotografia è buona, bisogna solo togliere una sbarra in primo piano che sporca l’immagine, e aggiungere un po’ di base per enfatizzare il piede che sfiora l’acqua. Questo è un dei rari casi in cui il fotografo ridimensiona una sua immagine; in seguito infatti, sarà un acceso sostenitore della stampa dal negativo intero.
Cartier-Bresson è talmente legato al “qui e ora” che la sua macchina fotografica gli permette di catturare, da non modificare quasi mai le sue fotografie sostenendo che l’esperienza iniziale non debba essere intaccata dalla tecnica: è la risposta immediata del soggetto ciò che fa la fotografia.Queste sue caratteristiche sono alla base di quel modus operandi che ha fatto di Cartier-Bresson un grande della fotografia:
Ricercare sempre contatto, anche nei luoghi e nelle situazioni più disparate, saper leggere con nuove prospettive l’episodio più semplice e banale, restituendolo come una sorpresa in un’ottica surreale che, tramite lo scatto fotografico mostra la straordinarietà del quotidiano, ma soprattutto la ricerca di umanità, che è quanto conferisce armonia all’intera immagine.
Umanità che ritroviamo in ogni sua foto, dai ritratti degli artisti che sono prima di tutto amici, come un Giacometti impacciato che attraversa la strada coprendosi con l’impermeabile o mentre è impegnato a spostare le sue statue negli spazi espositivi della Biennale di Venezia, o Sartre su Pont des Arts completamente assorto dai suoi pensieri, e infine Matisse nel suo studio e circondato da colombi.
Nei tre uomini di spalle che, arrampicatisi per osservare oltre il muro di Berlino in costruzione ci lasciano con una profonda tristezza, o anche nella composizione dai tratti pittorici dei profughi del campo indiano di Kurutshetra durante l’ora di ginnastica, così immobili eppure vivaci, scatenati. Nella rabbia furiosa che troviamo sul volto di una donna nel momento in cui scopre una informatrice della gestapo durante un processo sommario nelle strade di Dessau appena liberata, o in quella fotografia scattata nella prigione modello di Leesbury, emblema della disperazione umana con un braccio e una gamba tesi fuori dalla cella, a rincorrere una libertà che ormai non c’è più.
E infine nelle innumerevoli fotografie di bambini ritratti mentre giocano tra le macerie di Siviglia, in mezzo a strade deserte della Grecia o in edifici abbandonati, capaci di contrastare con la loro ingenuità e i loro sorrisi le atrocità di un mondo a loro ancora in parte sconosciuto.
Grazie al suo occhio vivace, in perenne movimento e alla discrezione che gli ha permesso di confondersi tra la gente, Henri Cartier-Bresson è stato in grado di fornirci un racconto fotografico dei maggiori eventi del XX secolo, un ritratto di paesi e popoli che spaziano dall’Africa degli anni 20, per giungere poi alla Spagna della guerra civile e della dittatura, dalla liberazione di Parigi, a quelle poche ore che precedettero l’assassinio di Gandhi nel 1948, finendo poi con la vittoria del comunismo in Cina.Dal 20 Ottobre 2016 al 26 Febbraio 2017
Villa Reale di Monza | Secondo Piano Nobile | Viale Brianza 1
Foto Copyright: Henri Cartier-Bresson